NELLA SEDUTA DEL 13 MAGGIO 2021 il Senatore Ciampolillo (attraverso LA PROPOSTA DI QUESTIONE PREGIUDIZIALE) ha chiesto che, ai sensi dell’articolo 93 del Regolamento del Senato, non si procedesse all’esame del D.D.L. n. 2167 di conversione del Decreto Legge n. 44/21 (sull’introduzione dell’obbligo di vaccinazione per il personale sanitario), lamentando l’omissione di informativa sugli “asseriti” fondamenti medico-scientifici dell’intero provvedimento legislativo: con conseguente svuotamento della concreta rappresentanza della Nazione prevista in capo ad ogni Senatore e, conseguentemente, del possibile esercizio della sovranità popolare. Ha rilevato l’indeterminatezza assoluta del riferimento ivi contenuto al provvedimento adottato in data 02 Marzo 2021 (per definizione, “provvedimento” può essere anche una sentenza, una circolare o un atto amministrativo, tutti emessi il 2 Marzo 2021); e posto che (da quanto emerge dalla relazione al disegno di legge) trattasi del Dpcm del 2 marzo 2021 scaduto il 6 Aprile 2021, sussisterebbe incostituzionalità per eccessiva indeterminatezza della norma, in violazione dell’art. 25 c. Costituzione, contenente rinvio ad un non ben precisato provvedimento, identificato solo in sede di conversione in un DPCM ormai improduttivo di effetti.
La proposta del Governo italiano di introdurre l’obbligo di vaccinazione per il personale sanitario si pone in contrasto con la Risoluzione 2361/21 dall’Assemblea Parlamentare del Consiglio D’Europa. Approvata a larga maggioranza dai rappresentanti degli Stati Contraenti, tale Risoluzione prevede che sia vietato in qualsiasi circostanza l’obbligo di imporre la vaccinazione, così come qualsiasi forma di discriminazione fondata sul rifiuto di sottoporsi alla somministrazione di vaccini. Inoltre, la proposta della Commissione Europea – in via di adozione – di introdurre un certificato con il quale vincolare gli Stati Membri al riconoscimento di una certificazione attestante l’avvenuta somministrazione del vaccino per la prevenzione dei possibili sintomi effetto del contagio da SARS-CoV-2 espressamente esclude che tale certificazione possa essere utilizzata per finalità discriminatorie. Nel contesto del quadro normativo sovranazionale evidenziato, non è quindi consentito ad uno Stato Contraente di adottare un atto legislativo in cui si prevedano conseguenze pregiudizievoli per gli operatori sanitari che rifiutino la vaccinazione. Rifiuto ancor più legittimo se si considera che tutti i vaccini attualmente disponibili nel territorio dell’Unione Europea sono stati approvati con il metodo dell’autorizzazione condizionata ( Articolo 14 Paragrafo 7 del Regolamento UE 726/2004), che prevede la deroga ai comuni standard prudenziali per quanto concerne le sperimentazioni: i cui termini – per taluni dei prodotti attualmente disponibili – scadono addirittura nel 2023. La Risoluzione 2361/21, al Paragrafo 7.3.2 garantisce che nessuno sia discriminato per non aver fatto il vaccino; nel momento in cui – fermo il legittimo diritto del datore di adibire il lavoratore ad altra mansione – il sanitario si vede decurtata o azzerata la propria retribuzione in ragione del rifiuto alla somministrazione ci troviamo di fronte ad una vera e propria discriminazione, vietata dal diritto derivato di un Trattato a cui l’Italia ha aderito e che ai sensi dell’Articolo 10 Comma 1 Costituzione è obbligata a rispettare. Il DL n. 44 si risolve nel mancato rispetto dell’Articolo 10.1 della Costituzione, laddove esso preveda la riduzione o l’azzeramento della retribuzione in ragione del rifiuto (legittimo) di ricevere l’inoculazione del vaccino, per contrasto con il Paragrafo 7.3.2 della Risoluzione 2361/21 del Consiglio D’Europa.