Il castello di carte truccate
Ecco qualche esempio di come le cure negate – senza mai entrare nel merito del divieto – abbiano consentito alla verità politica di schiacciare la verità scientifica costruendo un castello di carte truccate che già l’ordinanza del Consiglio di Stato di dicembre 2020 aveva evidenziato. Nel riaffermare la supremazia dei diritti costituzionali anche durante l’emergenza straordinaria, infatti, il Consiglio ha sottolineato le “incoerenze scientifiche” di AIFA, e indirettamente, dell’intera gestione dell’emergenza da parte del CTS. Ammesso, infatti, che AIFA, CTS e Governo abbiano trascurato inizialmente per errore le terapie domiciliari, non si capisce perché non abbiano mai ritenuto di rivedere questa posizione rimarcano, appunto, i giudici:“… In una situazione… di grave emergenza epidemiologica, nella quale si susseguono studi, ricerche… e vengono aggiornati i dati su terapie, sperimentazioni, contagi e decessi è ben difficile negare, sul piano logico (…) la necessità di una rivalutazione… delle misure adottate dalle autorità…”
Fino a quando non verrà accertata la validità scientifica delle attuali restrizioni “sanitarie” (compreso il prolungamento dello stato di emergenza, l’obbligo vaccinale e i “campi di isolamento”) esse rappresentano, dunque, solo un incubo privo di legittimità.
L’articolo 4 del Regolamento Europeo per esempio, indica le condizioni per autorizzare un farmaco o un vaccino che manca di “… dati clinici completi in merito alla sicurezza e all’efficacia”. Tra queste condizioni c’è la mancanza di altre “cure soddisfacenti”. Ma se le cure per mitigare l’impatto del virus, invece, ci sono e vengono contrastate (come la “criminale soppressione dei dati sull’ivermectina costatata mezzo milione di vite”, denunciata da Pierre Kory) è arrivato il momento di ascoltare la comunità scientifica: allarmata da una vaccinazione di massa frettolosamente avviata, nonostante gli eventi avversi e le incognite sul futuro riportate negli studi dei maggiori esperti a livello mondiale anche nella sezione SCIENZA E VACCINI di questo “Diario”.
Un allarme, dunque, dovuto non ai vaccini in genere ma a questi vaccini “genici” contro Covid che si vuole rendere obbligatori benché mai utilizzati prima nella Storia della Medicina e oggi sperimentati direttamente sull’uomo. Di qui le iniziative di contrasto a scelte politiche che sembrano non tenere conto di tali conseguenze. Come quella del Movimento Ippocrate nato in Italia e ramificatosi in tutto il mondo che – dopo un anno di esperienza nelle Terapie Precoci Personalizzate – ha avviato una raccolta firme su Change.org con la richiesta al Governo italiano di potere accedere a un vaccino tradizionale: “Un vaccino a virus inattivato come quelli sperimentati fin dall’infanzia, con una tradizione lunga e radicata e una metodologia utilizzata da anni che rappresentano, quindi, garanzie di sicurezza ed efficacia oltre che di compatibilità con la biologia dell’essere umano”.
Il Movimento IppograteOrg ha curato 60.000 pazienti – con zero decessi tra quelli trattati entro i primi 5 giorni da inizio sintomi – per cui definisce Covid : “Una malattia che se curata per tempo NON porta MAI alla morte, e perciò richiederebbe decisioni politiche e sanitarie che consentissero ai cittadini di essere curati piuttosto che vaccinati. Come Movimento Ippocrate rispettiamo ogni scelta. Ma proprio per questo vogliamo garantire a coloro che scelgono la vaccinazione, di poter accedere a vaccini NON sperimentali come quelli attualmente utilizzati in Italia…” Vaccini che: “in quanto regolamentati in regime di stato d’emergenza, sono farmaci sperimentali… che utilizzano biotecnologie di tipo genomico (mai utilizzate precedentemente per un vaccino) ancora in fase di sperimentazione…” la cui “interazione con l’equilibrio naturale del corpo umano – in particolare con la funzione immunoregolatoria e d’immunosorveglianza – non rende possibile garantirne la sicurezza a medio e lungo termine. In Cile, dove si è potuto scegliere tra vaccino genico sperimentale e vaccino tradizionale a virus inattivato, il 93% della popolazione vaccinata ha scelto quest’ultimo e solo il 7% ha scelto il vaccino genico. Il diritto di accesso alle cure e alla libertà di scelta va garantito: e per questo chiediamo alle Autorità competenti che vengano al più presto autorizzati e resi disponibili vaccini a virus inattivato”…
Quanto all’uso delle mascherine all’aperto, sollevò proteste per la sua infondatezza perfino da parte di Galli e Crisanti ma fu avallato da Zingaretti come “invito psicologico alla cautela” (sic!).
Lo stesso vale per la definizione di “positivo” data a chi ha effettuato un tampone con un numero troppo alto di cicli di amplificazione. Se per cercare la presenza del virus sul tampone, infatti, se ne ingrandisce esageratamente l’immagine (oltre, appunto, i 30-35 cicli di amplificazione) verranno rilevati solo pezzi di virus o virus morti che non sono più in grado di replicarsi e, quindi, non possono aumentare il contagio. Con quali conseguenze? Quella di conteggiare come “positivi” un numero abnorme di “casi” che non sono contagiosi; diobbligare i cittadini a immotivate quarantene e limitazioni; di sciorinare ad ogni tiggì un elenco di ”casi” che tiene immotivatamente alto il livello di allarme. Questi “positivi” frutto di amplificazioni eccessive, infatti, non essendo contagiosi andrebbero valutati come “negativi”, come segnalò il professor Roberto Rigoli, referente della Regione Veneto. E non è stato l’unico: anche l’Associazione dei microbiologi clinici italiani (AMCLI), ha sottolineato che quando i cicli sono pari o superiori a 35, va specificato che il 95% dei ceppi non sono più in replicazione. Un criterio ribadito perfino da Anthony Fauci (sistematicamente allineato sulle posizioni mainstream) a novembre 2020: “il test PCR COVID inutile e fuorviante quando viene eseguito a “35 cicli o superiore”. L’elenco di altri medici, virologi ed epidemiologi in Italia e all’estero, che ribadiscono tale acquisizione scientifica, è lungo. Come lo è il numero di siti specialistici che denunciano “L’esplicitazione nel referto dei cicli nell’analisi molecolare di SARS-CoV-2: cui prodest? ” e “Troppi cicli e pochi geni: cosa non va nei tamponi ”. E perfino Maria Van Kerkhove, responsabile per l’OMS ha dichiarato nell’articolo: “Tramonta il mito degli asintomatici. Per Oms è raro che trasmettano il virus” affermando, così, che “la diffusione del coronavirus senza sintomi è “molto rara”. Ecco, invece, i risultati di alcuni laboratori del Veneto e del Friuli Venezia Giulia i cui tamponi vanno – al contrario di quanto scientificamente dimostrato – da un minimo di 37 fino a 40-45 cicli di amplificazione: a riprova che, se fossero correttamente eseguiti non oltre i 24, massimo 30 cicli, i dati sui “positivi” e i “contagiosi” crollerebbero di botto come un castello di carte: insieme allo Stato di emergenza, alle restrizioni, al coprifuoco, all’obbligo vaccinale, ecc. ecc.
Ma non solo manca la trasparenza su questi dati, ma a partire da novembre 2021 si tende a truccare ulteriormente le carte introducendo nella narrazione mainstream concetti infondati sui “falsi positivi” e i “falsi negativi” come denuncia chiaramente il ricercatore italiano Marco Cosentino. A novembre, infatti, i media introducono nella narrazione il concetto che sia necessario modificare i criteri per l’assegnazione del green pass, stringendo ulteriormente e limitando la possibilità dei tamponi rapidi. “ I dubbi sulla validità dei tamponi rapidi: «Vengano esclusi per il rilascio del green pass” si legge sul Corriere.it del 11 novembre utilizzando la solita, generica “fonte”, priva di fondamento scientifico: “A sollevare i primi dubbi è stata la comunità scientifica”.
Poi è la volta della Stampa – “Covid, Ricciardi: “I tamponi antigenici sono il punto debole del Green Pass” – e di Open: “Verso il decreto per l’obbligo della terza dose ai sanitari. Spunta l’ipotesi dei colori a giorni per Natale: niente Green Pass con i test rapidi”. Le agenzie stampa e i maggiori media nazionali si allineano. Ma tramite canale social Telegram, interviene sulla questione Marco Cosentino, ricercatore e professore di farmacologia presso l’Università dell’Insubria: “Si diffondono sui mezzi di comunicazione affermazioni errate sul rischio che i tamponi antigenici diano un elevato numero di falsi negativi e chi le fa se ne deve assumere la responsabilità dato che non può non sapere le ragioni dell’errore… Le conseguenze sono per l’identificazione dei positivi, se uno ha un risultato negativo questo è altissimamente probabile, ai limiti della certezza. E siccome chi fa i tamponi, di regola ne fa diversi consecutivamente, a ogni ripetizione aumenta la certezza, fino a diventare un 99,999% con 9 periodico. Quel che da sempre i tamponi sbagliano è la positività: sugli asintomatici (ovvero sulle persone apparentemente sane) i tamponi sono spessissimo falsi positivi, con le ovvie conseguenze per la statistica e per l’isolamento in quarantena di persone del tutto sane. Questo è. Poi ci possiamo raccontare quello che vogliamo, se una diversa narrazione ci piace di più. Ma quella corretta è questa. Nell’impianto del lasciapassare sanitario (green pass) la categoria in assoluto meno a rischio di essere contagiosa è quella di coloro che si sottopongono abitualmente a tampone. Almeno questo è fuori discussione”
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